Università, solo gli studenti italiani non scrivono niente fino alla tesi: che sbaglio!
Università, solo gli studenti italiani non scrivono
niente fino alla tesi: che sbaglio!
di Chiara Berra*
Lettera di una laureata in Filosofia: «Alla fine del triennio ci si accorge di aver imparato solo a
ripetere quello che si è studiato, senza aver mai prodotto un pensiero originale. E’ ora di
adottare un sistema misto, in cui all’esame sia richiesto di portare anche degli elaborati come
accade negli altri Paesi»
Lo studente italiano medio iscritto a una facoltà umanistica non scrive. Per meglio dire,
non scrive in Università. Se è abbastanza intraprendente scrive per sé, per piacere, o per
qualche rivista indipendente gestita con altri studenti. Lo studente medio, possiamo dunque
generalizzare, non sa scrivere. Dopo tre anni di studi, lo studente spesso si accorge di non
avere imparato che a ripetere il pensiero di qualche illustre filosofo o letterato a memoria.
Eppure la sola capacità mnemonica non basta nemmeno per scrivere sul curriculum «pensiero
analitico avanzato». È con la scrittura che i pensieri vengono riordinati e il pensiero
critico sviluppato, esattamente come un muscolo con il suo specifico allenamento.
Come si può capire se si vuole seguire una carriera accademica universitaria se non ci si mette
in gioco fin da subito con la componente produttiva della cultura? Se il primo e talvolta unico
saggio che viene scritto è la Tesi di Laurea Triennale? Perché alla fine per poter entrare in
accademia di questo si tratta: bisogna scrivere e pubblicare. E la scrittura come ogni altra
pratica deve essere allenata e studiata a fondo. Ci sono, è vero, alcuni studenti eccezionali che
sono capaci di strutturare un discorso perfettamente argomentato nella propria testa prima
che sulla carta, ma sarebbe sbagliato considerare questa come una capacità innata o un
prerequisito di ogni studente di materie umanistiche. Sarebbe come pensare che ogni amante
dell’arte sia capace di diventare un nuovo Michelangelo solo contemplando e studiando le sue
opere.
Consideriamo poi alcuni aspetti più propriamente pragmatici della questione, che dimostrano
la necessità di scrivere. Il primo riguarda il caso che uno studente, dopo la laurea, voglia
presentare domanda per seguire un master in un’università straniera. Qualunque
domanda prevede che il candidato carichi il suo miglior elaborato insieme con
il curriculum vitae e le valutazioni degli esami sostenuti. Assumiamo ora che il migliore
elaborato sia la Tesi, in quanto è anche l’unico. Bene, nel periodo in cui si presentano le
domande alle Università, intorno a Dicembre e Gennaio, non sarebbe ancora completata, per
non dire iniziata. Ora, assumiamo che il nostro candidato sia incredibilmente motivato e
decida di scrivere un elaborato appositamente per quel programma. Sarà forse il suo miglior
saggio, non avendone mai scritto uno in precedenza e, con ogni probabilità, non avendo
nessun professore disposto a correggerlo e a indirizzarlo?
APPROFONDIMENTI
Johnson, Draghi e Oppio, l’ottavo colle. Tutti gli strafalcioni dei politici
Ecco che quindi già nel solo processo di selezione lo studente italiano inizia con un
netto svantaggio. Ma ipotizziamo pure che venga accettato dall’Università in questione, oltre
alla difficoltà di scrivere in una lingua diversa dall’italiano, lo studente dovrà confrontarsi
con un panorama estremamente competitivo nel quale i suoi colleghi, avendo già da
anni raggiunto l’autonomia necessaria nella scrittura, possono dedicarsi allo studio e alla
ricerca approfondita richiesti dal Graduate Program.
In secondo luogo è bene non dimenticare la componente creativa dello scrivere: la
capacità di produrre un’idea e di saperla comunicare. L’Università è il luogo in cui questo
processo deve avere luogo, dove lo studente di Filosofia, per dirne uno, deve poter essere
filosofo e non soltanto storico della disciplina.
Per tutte queste ragioni, credo che se venisse adottato un sistema misto nella
strutturazione degli esami, come già alcuni professori motivati e interessati fanno, ne
beneficerebbero non solo gli studenti, ma anche il mondo accademico stesso per le
nuove idee che verrebbero prodotte.
*Laureata in Filosofia all’Università San Raffaele, sta seguendo un master alla New York
University
